I giovani sono sempre più rapidi alla corruzione

Quale chiesa fonderanno questi preti del laicismo a medio termine? Se una volta i don Abbondio se ne andavano in giro col capo chino sui breviari, adesso una nuova ortodossia se ne sta coi formulari della retorica e del buonismo a incantare folle di ossequiosi spettatori seduti davanti a ogni genere di schermo. È il dialogo di nuova generazione, questa conversazione dove una parte subisce l’altra attraverso un monologo di trucchi e di suggestioni. Sono i discorsi del non veduto, che parla tramite una polifonia di operosi sacerdoti della comunicazione, attraverso un genere di filodiffusione che neutralizza ogni rischio critico.

Sono giornate, queste – mi riferisco all’odierno attuale – che a guardarle con occhio panoramico si accompagnano a toni di fondo sgradevoli e fastidiosi. La politica, il lavoro, gli scioperi, l’abbandono di ogni gradazione della preoccupazione intorno al fenomeno dell’immigrazione – ormai sembra che sia scomparso pure il senso dell’emergenza, sostituito da una forma di metabolizzazione di massa – riempiono uno spazio di disattenzione, del resto in linea con questi frequenti momenti di transizione che non sono più stagioni, né stadi epocali, né altro. Una burocrazia dell’indefinito, una sospensione dei pesi e delle misure. Dirselo, anche da soli, approssima impietosamente al ridicolo. Viviamo l’epoca dell’alleggerimento civile, dove ogni tentativo oltre la misura nasale viene considerato una zavorra a questa imperita e insopportabile ebbrezza di massa.

Non penso valga più la pena di confidare, la più stupida e miserevole delle illusioni, in parole che, direttamente o indirettamente, hanno a che fare con la giovinezza, i giovani e ogni altro termine svuotato. La desolazione giovanile non è che un momento naturale della pedagogia collettiva. Non si è pronti ai generi richiesti di maturità se non si è ben collaudati alle corruzioni giovanili. Una misura necessaria per riuscire a stare al mondo. Quindi è più intelligente ammettere di non aspettarsi niente da proclami irreali diffusi da chissà quali improbabili evoluzioni anagrafiche. Davila ha definito i giovani come dei sottoposti a un’idea di indipendenza che è sottomissione alle mode. Oggi queste mode si traducono nella quasi totale attenzione, da parte dei giovani stessi, a gregari grotteschi e buonisti di una forma di purezza prodotta dentro i laboratori politici, dalle spinte di partito e dal potere dei media. In giro si coglie la paura per un tempo che non crea paura, perché non ne ha bisogno. Funzionano i suoi giullari e splendono i suoi avamposti dell’intrattenimento. Come ha scritto Auguste de Villiers, “Vivere? Lo facciano per noi i nostri domestici”.

Ecco che abbondano, nelle televisioni, su internet, nei media, i portatori d’ebbrezza, bravi a nutrire le smanie emotive giovanili, quasi completamente sprovviste d’intelligenza. Sono i figuri di kermesse pubblicitarie, salottiere e col verbo dell’abbraccio, ma sono sagome lontane. Questi nuovi alfieri della spettacolarizzazione collettiva hanno una grande utilità, paradossalmente salvifica. Perché? Fin quando durerà l’alto livello di attenzione alle loro predicazioni del niente, diminuiranno i rischi di verifiche brutali. Non esploderanno le bombe, non ci sarà il ricorso, da parte del potere, a quelle soluzioni estreme che realizzano la paura, quel genere di paura che si accompagna a precise ma irrivelabili identità. Le violazioni, fin quando durerà questo clima di assuefazione alle formule più mediocri dell’intrattenimento, si consumeranno attraverso episodi isolati, come isolato è il sentimento reale del pensiero che tenta in qualche modo di divincolarsi.

La persecuzione di massa si esercita con l’autorizzazione di massa. Ragion per cui, pensiero impopolare, dovrebbe godere di maggiore stima chi diffida, in maniera avveduta, di questa folla disgustosa di paladini dell’ammonizione civica travestita da spicciole vanità rivolte a mendicare consensi e sorrisi. Anche la Chiesa sta coniugando le sue esplorazioni nel mondo giovanile per mano di esibizioni ben disposte agli adattamenti della cultura da talk show e dell’opera artistica di consumo, a testimonianza che nessuno, ormai, resiste col proprio rigore. Farlo è una via verso regioni solitarie che quasi nessuno è disposto a frequentare.

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