I nuovi “retori” dovrebbero fare i conti con la loro anima ultrà

Divide et impera. La luna è caduta e qualcuno sta già provvedendo a tagliarla per spartirsela in segreto. L’età imperiale non è mai tramontata, quella repubblicana se ne sta in disparte a sorvegliare l’andirivieni di capricci e di rivalse, e il popolo fraziona i suoi orgogli dentro i capricci dell’imperatore e i complotti dei senatori. La Roma antica non è mai finita. La formula dello spargimento delle idiozie deve governare il caos.

I fatti di Tor di Quinto, le oscurità intorno alle violenze consumate durante la sera della finale di Coppa Italia, sono destinate a entrare nel registro di quello che nessuno potrà considerare chiarito. Pensare a quante tristi e maleodoranti cianfrusaglie lo Stato stia provvedendo ad agitare sotto il naso dei suoi sudditi fa venire i brividi. Col giocattolo pericoloso ancora fra i piedi, nel frattempo non si sa chi o cosa stia approfittando del momento di distrazione collettiva, potrebbe tornare in mente che forse, questi suonatori della morale farebbero meglio a chiudere gli spartiti e ad accomodarsi, vestiti come pare a loro, a sospendere questa spericolata abilità di giudizio. Questo sistema di forze, che nei suoi volteggi retorici mette pure a frutto i peggiori patetismi – basta prestare ascolto al dolore a orologeria di chi il dolore lo ha provato veramente (questo è davvero abominevole) – buttando addosso agli altrove altrettanto discutibili quello che dovrebbe pensare e dire di se stesso.

Quando lo ammetteremo che ci troviamo di fronte a una nevrosi infantile e isterica del potere? Addossare a chi si mostra idoneo all’esperimento, che riesce sempre, tutte le responsabilità quotidiane. Funziona così, attraverso un antagonismo retorico finalizzato a un’ambigua distinzione tra il bene e il male.In fondo si tratta di questo, di due imposizioni morali che si urlano in faccia le stesse manipolazioni. La verità, cruda, ispida, ruvida, fastidiosa e indelicata, nessuno la vuole, perché si correrebbe il rischio di ridicolizzare gli eroi, di riabilitare i cattivi, di sminuire certi dolori, di sottolinearne altri, di depotenziare il fondo vanesio di alcuni poteri, di ritrovarsi confusi, dentro una rielaborazione della realtà che annullerebbe troppi artifici utili al controllo generale. È un rischio che nessuno può correre.Una cosa però supera tutti i limiti. È la manipolazione della sensibilità, è la realizzazione dell’abilità mistificatoria capace di agire sul sentimento interiore, collettivizzandolo, come fosse un piano economico, un programma finanziario. Siamo davanti ai patti di stabilità del sentimento passato dentro il setaccio del ragionamento indotto.

In fondo, questi nuovi retori dediti alla distribuzione della morale di stato dovrebbero sedersi nell’angolo di uno stadio e intonare le loro canzoni, perché non sono così diversi da quanto vorrebbero distinguersi. Nell’antica Roma i patrizi e i potenti, tra uno spettacolo e l’altro al colosseo, ordivano quelle che i romani chiamano le peggio cose, e lo facevano disprezzando la plebe che si accaniva come un’ossessa sulle “prodezze” dei gladiatori. L’imperatore, poi, quando lo sconfitto restava a terra, alzava o abbassava il dito, nell’indifferenza collettiva se quel gesto, qualora avesse determinato la morte del soccombente, sarebbe andato contro un qualche genere di morale. In fondo quello era Il dito dell’imperatore.

Adesso mi auguro che nessuno pensi che qui si vogliano difendere gli ultrà. A dirla tutta, non c’è da prendere le parti di qualcuno, ma, forse, ci sarebbe da osservare che certe parti si somigliano molto più di quanto sembri. La luna è caduta. Nessuno sa se si è ancora in tempo per sottrarla alle spartizioni in gran segreto. La cosa peggiore è che stanno facendo ironia sui sentimenti. La nuova missione è mistificare pure il merito della pietas. Siamo all’ironia sentimentale. Come ha scritto Karl Kraus, “L’ironia sentimentale è un cane che ulula alla luna e piscia sulle tombe”.

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