Una giraffa per Mordillo

È consuetudine giornalistica che per la scomparsa di un personaggio illustre il lutto venga omaggiato con un pezzo (più o meno agiografico), spesso compilato in anticipo con solerzia vagamente iettatoria. È il famoso articolo chiamato in gergo “coccodrillo”, termine che contrasta con la gravità del suo contenuto evocando nel lettore un’immagine surreale e stravagante. Nel nostro caso, il proverbiale rettile piangente non è abbastanza assurdo da tener il passo del disegnatore venuto a mancare i giorni scorsi. Stiamo parlando di Guillermo Mordillo Menendéz, noto universalmente come Mordillo. E, con un autore di questo calibro, a rappresentarlo in modo adeguato bisogna chiamare in causa un esemplare più esotico e spiazzante. Un ornitorinco, forse. No, meglio ancora, una giraffa.

Il disegnatore argentino scomparso nella sua residenza di Majorca ha interrotto a 86 anni la parabola di una carriera sempre verde, andando a occupare un posto personalizzato nell’empireo degli umoristi sudamericani. Di sicuro coloratissimo quanto i suoi celebri, festosi acquarelli.

Una produzione sterminata rivolta a una platea amplissima, di tutte l’età, un’ironia bonaria ma capace di graffiare se necessario, la piacevolezza del tratto hanno fatto di Mordillo un autore tra i più esportati nel mondo, senza nulla da invidiare allo spleen filosofico del più sofisticato Quino, oppure all’inconfondibile vena caustica di Oski, giusto per fare un paragone con altri due colleghi di pari statura. Leggero come il palloncino sfuggito di mano a un bambino, altrettanto capriccioso e imprevedibile nel roteare delle sue traiettorie, Mordillo faceva ridere, e molto, senza l’ausilio della parola, né troppe complicazioni comunicative. Eppure, miracolosamente, ogni sua tavola riusciva a mettere sempre un germe di domanda nelle disavventure dei suoi ometti, esserini buffi e mai omologati, in perenne frizione con un mondo ottuso e meccanico come quello del Chaplin di Tempi moderni.

La questione sottintesa dal cartoon è lampante: come fare a prendersi sul serio quando si è un minuscolo figuro che brulica insieme a migliaia di altre copie tutte uguali, sgomitando per sopravvivere in una realtà incontrollabile e fuori misura?
A ben pensarci, il riso s’interrompe. Si osserva meglio la scena, i pupazzetti dal naso tondo, le loro tribolazioni messe in atto per spostarsi da un capo all’altro di una scena irta di ostacoli, e ci si accorge allora che non stiamo guardando una vignetta, ma uno specchio. In questo sta la grandezza di Mordillo: utilizzare una formula apparentemente semplice, un disegno felice e di facile fruizione, un apparato grafico arioso e dalla precisione di un orologiaio per costruire meccanismi perfetti, dove lo humour è il risultato finale dell’agitarsi a vuoto delle tante rotelline, ma la scintilla che dà vita al tutto è la visione esistenziale che traspare tra le righe.

La fortuna di saper utilizzare un linguaggio diretto, capace di rinnovarsi con infinite variazioni, è la misura di una intelligenza grafica che, esordendo precoce a soli diciotto anni, ha seguito un percorso baciato dal successo, portando l’argentino di origine spagnola a lavorare in ambiti che vanno dalla grafica all’illustrazione per l’infanzia all’animazione e chi più ne ha più ne metta.

Onnivoro per capacità di fagocitare e assimilare codici espressivi diversi, flessibile, con un acuto senso del marketing, dalla metà degli anni ’50 in poi il versatile Mordillo travalica i confini nazionali trasferendosi in Perù dove opera in ambito pubblicitario ed editoriale, per poi spostarsi negli anni successivi alla conquista di nuove frontiere. Lo si vedrà attivo a New York, dove presta la sua mano alla Paramount operando con popolari serial animati. Successivamente è il turno di Parigi, città in cui può esprimere e mettere a punto al meglio la sua personale cifra comica. Dopo esperienze con Paris Match ed altre riviste, lo si vedrà anche in Italia, con enorme diffusione anche nel campo della produzione di gadget e in Germania dove collabora con il settimanale Der Stern.

Uno sguardo alle tavole che lo hanno reso celebre in tutto il mondo, risulta più esplicativa e godibile di mille analisi, evidenziando in un colpo d’occhio il talento e le peculiarità dell’autore.

Il senso della composizione, espresso da grandi tavole caratterizzate da improvvise esplosioni di colore, l’arcobaleno tropicale delle sue giungle variopinte, è uno dei primi elementi che colpiscono, accompagnando la creazione di paesaggi assurdi, iper-popolati, sfumati in gamme tonali delicate alla Folon, oppure dai contrasti timbrici decisi di un cartellone pubblicitario. Coppie alle prese con l’eterno braccio di ferro amoroso, interi zoo di animali improbabili, pletore di goffi calciatori che stiracchiano partite da serie Z, pirati, panorami animati, questi alcuni dei temi ricorrenti del teatro di Mordillo, un palcoscenico su cui il 29 giugno è calato il sipario, lasciando sola una delle sue creature preferite a raccogliere con un inchino il caloroso applauso di commiato del pubblico.

La vediamo muoversi stralunata e triste, illuminata dal cono di luce di uno spot che la contiene a stento.

Anche a distanza dal palco, con quel collo lungo-lungo c’è poco da confondersi. Se non è una modella di Modigliani, allora dev’essere proprio una giraffa.

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