Le vere storie di Babbo Natale: evoluzione di un mito che apre i cuori alla speranza?

di Marco Antonio D’Aiutolo

Chi di noi, durante la frenesia o il tepore delle feste natalizie non si è imbattuto nella visione di qualche film su Babbo Natale? Magari anche solo en passant e, per i non amati del genere, loro malgrado! Ma sicuramente coloro che ne sono appassionati avranno notato come, sul grande e sul piccolo schermo, col trascorrere degli anni, la figura di questo personaggio mitologico e magico si sia evoluta palesemente. Si è passati, per esempio, dal Santa Claus del 1985 (in italiano: La vera storia di Babbo Natale): un tipo buono, paziente, attento ai bisognosi, interpretato da David Huddleston; o dal Kris Kringle, il vecchietto dolce e generoso di Miracle on 34th Street del ’94 (riuscitissimo remake di quello del 1947), interpretato da Richard Attenborough (da Edmund Gwenn nel ’47); al super sexy, supereroe, super star e super spericolato Babbo Natale interpretato da Kurt Russel in Qualcuno salvi il Natale (titolo originale: Santa Klaus is back in town), prodotto quest’anno dalla Netflix. Sebbene, a quest’ultima tipologia, eravamo già stati abituati dal bislacco e tatuato Babbo Natale, con accento russo, di Rise of the Guardians (Le 5 leggende), film di animazione del 2012. Insomma, ciascuno viene rappresentato in modo confacente all’epoca in cui il film è stato prodotto o, forse, in base alla visione dell’uomo del regista stesso.

D’altronde, è noto che, anche nella storia di questa figura, che fonda le sue radici in tradizioni mitiche precristiane, c’è stata un’evoluzione: da Odino, il dio dei vichinghi, che durante un’annuale battuta di caccia, nel periodo del solstizio invernale, ricompensava di regali i bambini che lasciavano nei loro stivali carote, paglia o zucchero, presso i caminetti (o sulla soglia di casa) per sfamare Sleipnir, il suo cavallo volante, all’assimilazione in San Nicola, vescovo cristiano di Myra.

Addirittura, per alcune tradizioni sempre nordiche, in precedenza, Babbo Natale sarebbe stato poco “babbo” e poco “natale”. Era, infatti, rappresentato da una figura extraumana, con lunghe corna e seduto su di una piramide di teschi umani. In Finlandia, Joulupukki o Yule Goat, per esempio, fa riferimento al caprone della mitologia scandinava che, dopo diverse contaminazioni, assume sembianze antropomorfe, malvagie e spaventose, divenendo un orco mangiatore di bambini. Secondo alcuni villaggi finlandesi, Yule Goat vaga di notte, bussa a ogni porta delle abitazioni dove ci sono bambini, dando doni a quelli che sono stati buoni e frustando a sangue i cattivi. Rare exports (Trasporto eccezionale. Un racconto di Natale), film finlandese del 2010, lo ha reso bene. Rifacendosi ai miti nordici precristiani, racconta il ritrovamento del demone Babbo Natale tra i ghiacciai, distrutto definitivamente da alcuni cacciatori di renne, che addomesticano poi i fedeli elfi, dalle sembianze del Babbo Natale tradizionale e li inviano in tutto il mondo, fruttando molti introiti. Ma c’è anche il Krampus, convertito da San Nicola e reso suo aiutante, nel ruolo di punire i bambini cattivi: di qui, l’omonimo film a tematica Christmas horror del 2015, diretto da Michael Dougherty.

Per tornare all’immagine del babbo buono, tutti sappiamo inoltre che la figura cambia persino d’abbigliamento. Con la giacca rossa, la barba bianca e gli stivali, con cui siamo abituati a vederlo rappresentato, compare per la prima volta sulla rivista Harper’s Weekly nel Natale del 1862, raffigurato dall’illustratore Thomas Nast e che fu poi rubato e reso celebre in tutto il mondo, com’è noto, dalla Coca Cola. Mentre prima era vestito con un lungo mantello verde, come riproposto nel 1843, da Charles Dickens in A Christmas Carol sotto il nome di Spirito del Natale Presente.

Ed è proprio in un recentissimo film (2017), che Babbo Natale viene raffigurato in abiti verdi. Si tratta di Christmas & Co, diretto e interpretato dal franco-algerino Alain Chabat. Anche qui, come in generale negli altri film su di lui, Babbo Natale, per quanto evoluto sia il modo di interpretarlo, ha però gli stessi tratti di sempre: un uomo carico di bontà, simbolo dello spirito natalizio, che non solo si mostra puro e ingenuo rispetto al mondo reale e cinico, ma che è anche in serie difficoltà. Malgrado i suoi poteri magici, non può che essere salvato dalle azioni buone di altri esseri umani. E salvare Babbo Natale significa salvare il Natale, i suoi significati e la felicità che ne deriva da ogni possibile distruzione. I nemici, paradossalmente, sono gli stessi che ne hanno sfruttato la figura e contribuito alla sua fama: quelli che gravitano intorno al capitalismo consumistico. Per usare le parole dell’avvocato difensore di Kris Kringle in Miracle: il potere, la grettezza e il vile danaro. Nei giorni nostri, associati alla cieca e spietata tecnologia, che mina lo spirito natalizio, come accade in un altro film di animazione, Il figlio di Babbo Natale (Arthur Christmas) del 2011.

Il leit motiv è il medesimo: la lotta tra il bene e il male; una dicotomia che, nei film, viene spesso messa in relazione alla lotta tra la purezza dei sogni e dell’immaginazione contro la fredda razionalità. Proprio Miracle presenta questo carattere ideologico: “Meglio una bugia che dà speranza o una verità che mette tristezza?”, si chiede sempre l’avvocato difensore. È questo il dilemma centrale. Immediata è risposta: meglio la bugia, l’irrazionale fiabesco all’arida razionalità, un Babbo Natale che pretende d’essere vero rispetto a una giovane mamma elegante che insegna: “Bisogna cercare la verità, abbandonarsi alla fantasia e ai miti vuol dire prepararsi all’infelicità”.

Nello stesso Christmas & Co, l’ingenuo Babbo Natale deve fare i conti con il mondo reale, dove impara che i bambini sono docili solo quando dormono, che una famiglia normale deve vedere come sbarcare il lunario, che il mondo del mercato è ben altro dallo scambio gratuito dei doni. È interessante, al riguardo, la “lezione di economia e mercato” che due genitori fanno a un Babbo Natale un po’ scorbutico, che pretende di ottenere ciò di cui ha bisogno senza “il vile danaro”. Ma anche in questo caso, fantasia e magia vincono. Perché? C’è forse un bisogno atavico nell’uomo, che è quello di immaginare un mondo che va oltre la cruda realtà, che ricorda tanto la canzone di John Lennon, Imagine appunto? Forse sì, ed è un bisogno che vale oggi, come ieri, se si tiene presente, per esempio, che il primo Miracle, diretto da George Seaton, era dell’immediato secondo dopoguerra, quando il mondo aveva effettivamente bisogno di riprendere a sognare.

Se si pensa anche che la festività del Natale e le sue figure simboliche, come si diceva, hanno radici precristiane. La nascita del bambino della luce è annuncio di speranza con e prima di Cristo. Nei Saturnali romani, ad esempio, festeggiati durante il solstizio d’inverno e che si concludevano con il Natale del Deus Sol Invictus, 25 dicembre, l’ordine sociale, la realtà conosciuta, veniva sovvertita e gli schiavi banchettavano con i padroni almeno per una volta all’anno. Mentre nella notte di Yule, delle tradizioni celtiche e germaniche, la gran Madre, dai molti nomi, generava il dio Sole, il bambino della promessa di una nuova rinascita della natura e della sconfitta delle tenebre da parte della luce. In entrambe le feste, i riti erano legati all’inizio del nuovo anno, quando le giornate iniziavano ad allungarsi. E bisognava prepararsi al e con l’auspicio di un rinnovamento interiore. Nella notte più lunga, come la notte di Yule, il dio Agrifoglio, simbolo dell’anno vecchio in declino veniva, finalmente, sconfitto dal re Quercia, simbolo invece dell’anno nuovo, del nuovo inizio.

Un bisogno atavico dunque? Certo! Ma si sbaglia nel credere che sia frutto di mera irrazionalità menzognera. Il mito non è bugia. Bensì una storia non reale, che dice il vero, attraverso un referente: il simbolo che rimanda a un mondo migliore, voluto dalla stessa ragione umana.  Un’illusione? Forse! Ma se non possedessimo la speranza, non ci muoveremmo all’azione. La ragione ci chiede di essere testimoni viventi e concreti di quel mondo che sogniamo si realizzi.

Allora, per dirla ancora alla Lennon:

A very Merry Christmas and Happy New Year

Let’s hope it’s a good one, without any fear.

War is over, if you want it.

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