Intervista alla cantautrice Scarlet: “Musicalmente viaggio su sonorità ispirate agli anni Ottanta”

di Davide Speranza

La storia di Scarlet, al secolo Carla De Angelis, 25 anni, cantautrice romana, ha il sapore della fiaba, dove il lupo cattivo è sempre dietro l’angolo, e il lieto fine tarda ad arrivare. Il suo happy end però si chiama Musica. Una vita fatta di tanti pezzi, che sta provando a incollare, per farne mosaico di poesia, parole e arte. Guerra sociale, giovani alienati, femminicidio, danze su mine vaganti, una grande critica da giovane lanciata ai giovani. Quello di Scarlet è un urlo di libertà, un volersi riprendere il senso del percorso, in un tempo dove non esistono strade, riferimenti, segnaletica, solo rumore. Coffee Bar, Discodrama, Ad Alta Voce sono i suoi primi successi, che stanno pian piano correndo sul web. Testi dal piglio cantautoriale, groove esteticamente legato agli anni Settanta e Ottanta, ritmo blues mischiato al pop, funk, hip pop, innesti di elettronica, tripudio di colori che lascia una coda di delicatezza e cruda realtà contemporanea.

Il lockdown non l’ha scoraggiata, anzi è stato motivo per impugnare penna e microfono. Lei, cresciuta con una nonna che è stata unica vera famiglia, ha visto la vita in faccia, l’ha subita, poi ha deciso di sciogliere i fantasmi, riversando le fratture personali in un rhythm and blues originale. Anche i suoi videoclip sono piccole scintille d’arte audiovisiva: sgargianti, wharoliani, collage di cartoline, foto, animazione, atmosfere e impostazioni teatrali. “Saliamo le scale del motel, sbatti la porta e sbatti anche me, il fuoco mi prende, la mia bocca cerca te, ti strappo la pelle, adesso tocca a te”, “Come siamo finiti così, in fondo ai titoli, alla fine del film, le vecchie pagine le metto via, rivoglio una storia che sia tutta mia, superando il confine, balliamo sopra le mine, intelligenza artificiale, mi fai bene mi fai male, premi il grilletto e poi bang”, “Allora tu stai giudicando me, sei sicuro dei perché, domani scorderai, stai ristuprando me”. Sono solo alcuni fraseggi dei suoi brani, dalla sintassi veloce e dagli echi profondi come squarci nella carne.

Scarlet quando nasce il tuo riscatto nella musica?

Da lontano. Ho vissuto tra Le Marche e Roma. Abitavo con mia nonna, aveva moltissimi vinili della sua epoca, c’era una chitarra in una stanza. Un ricordo molto forte, avevo 5 anni. La presi tra le mani, feci suonare le corde, sentivo che aveva una vibrazione, un’anima, una vitalità. Mi permetteva di creare, di poter far uscire qualcosa da dentro me, una proiezione del mio mondo. Ascoltavamo artisti degli anni Sessanta e Settanta, giocavo con quei vinili, li mettevo sul piatto del giradischi. Suonavo la batteria con le pentole. Ho iniziato così ad approcciarmi, ancora non avevo studiato nulla. Non prevenivo da una famiglia di musicisti, ma di ascoltatori. Mio padre faceva l’antiquario, collezionava oggetti che provenivano da altre epoche, altre generazioni. Ecco posso dire che tutto è partito da quelle atmosfere, da mio padre e mia nonna che mi hanno trasmesso l’amore per James Brown, David Bowie. Ero presa dal ritmo e dalle loro suggestioni, una ribellione mi smuoveva qualcosa. Poi a 11 anni ho iniziato a suonare il pianoforte, a 12 la chitarra.

 

In che modo la tua famiglia ha influito sul tuo percorso artistico?

Provengo da una situazione familiare complessa, mi ha cresciuto principalmente questa nonna che per me è stata tutto. Mia madre era lontana, una personalità molto fragile, non mi ha potuto dare un sostengo. Anche mio padre è stato lontano per molto tempo, poi però sono riuscita a mantenerne i rapporti. Avevo voragini nella mia esistenza, mi hanno lasciato un’inquietudine, mi sono accorta troppo presto che la vita è dura, non ci si può fidare, e allora mi sono fidata delle mie emozioni e della musica che mi ha permesso di convertire questi dolori in qualcosa di buono. Ha dato un senso molto forte alla mia fragilità. Si può sempre trovare qualcosa in cui credere e per cui lottare. L’arte, lo scrivere mi hanno permesso di superare i traumi.

 

Da dove viene il nome Scarlet?

Anche questo è un omaggio a mia nonna Maria, è una dedica che lascio a lei. Il suo film preferito era Via col vento. E la protagonista principale della storia, che tutti conoscono in Italia come Rossella O’Hara, in realtà nella versione originale si chiamava Scarlett. Scarlet poi si avvicina al mio vero nome di battesimo, Carla.

 

Chi sono i tuoi riferimenti artistici e musicali?

A 13 anni ho iniziato a comporre e scrivere. Ascoltavo De André, scrivevo poesie, poi ho iniziato ad assemblarle con lo strumento, realizzando canzoni. Parlavano di guerra, femminicidio, di sociale. Musicalmente viaggio su sonorità gradevoli, ispirate agli anni Ottana. Voglio portare i colori di prima. Vorrei non si perdessero quei valori, quelle onde, trovo che in quel periodo ci fosse una straordinaria creatività, c’era la speranza. Ecco, forse adesso ci manca la speranza, quel mood che c’era prima. Da quei tempi ho imparato ad amare artisti come Blondie, la Disco, il beat, il pop, l’indie. Tutto era concesso, potevi creare e assemblare influenze diverse, metterle insieme, dei groove incredibili, la musica degli anni Ottanta era frutto di un percorso, la consacrazione di una forte novità. Sul piano generale, ho frequentato un istituto d’arte nelle Marche, lo stesso che ha frequentato Ivan Graziani. Lì ho vissuto una delle esperienze più belle della mia vita, ho compreso che l’arte non è emarginazione, non è sbagliata, ma è arricchimento della società. Ho fatto corsi di video-montaggio. Mi piaceva abbinare immagine e musica. Ricordo la professoressa Cinzia Vagnoni, docente di arti multimediali. Mi diceva che io e la musica eravamo una cosa sola. Mi ha sempre dato coraggio e gratificato. Avevo 14 anni, ma per me era già un viavai tra regioni e case. Ho sempre scritto, ho sempre avuto cassetti pieni di testi, computer pieni di registrazioni. Avevo paura della realtà, non credevo in me stessa. Avevo tanto materiale ma non volevo usarlo. Ho partecipato anche a XFactor nel 2017. Feci il provino, mi richiamarono ma non ci andai. Pensavo di non riuscirci. Con il tempo mi sono circondata di persone che mi hanno fatta sentire alla pari, come una collega, e questo mi ha fatto bene. Un anno fa ho iniziato a lanciare e pubblicare i miei brani.

 

Chi sono i tuoi riferimenti artistici e musicali?

A 13 anni ho iniziato a comporre e scrivere. Ascoltavo De André, scrivevo poesie, poi ho iniziato ad assemblarle con lo strumento, realizzando canzoni. Parlavano di guerra, femminicidio, di sociale. Musicalmente viaggio su sonorità gradevoli, ispirate agli anni Ottana. Voglio portare i colori di prima. Vorrei non si perdessero quei valori, quelle onde, trovo che in quel periodo ci fosse una straordinaria creatività, c’era la speranza. Ecco, forse adesso ci manca la speranza, quel mood che c’era prima. Da quei tempi ho imparato ad amare artisti come Blondie, la Disco, il beat, il pop, l’indie. Tutto era concesso, potevi creare e assemblare influenze diverse, metterle insieme, dei groove incredibili, la musica degli anni Ottanta era frutto di un percorso, la consacrazione di una forte novità. Sul piano generale, ho frequentato un istituto d’arte nelle Marche, lo stesso che ha frequentato Ivan Graziani. Lì ho vissuto una delle esperienze più belle della mia vita, ho compreso che l’arte non è emarginazione, non è sbagliata, ma è arricchimento della società. Ho fatto corsi di video-montaggio. Mi piaceva abbinare immagine e musica. Ricordo la professoressa Cinzia Vagnoni, docente di arti multimediali. Mi diceva che io e la musica eravamo una cosa sola. Mi ha sempre dato coraggio e gratificato. Avevo 14 anni, ma per me era già un viavai tra regioni e case. Ho sempre scritto, ho sempre avuto cassetti pieni di testi, computer pieni di registrazioni. Avevo paura della realtà, non credevo in me stessa. Avevo tanto materiale ma non volevo usarlo. Ho partecipato anche a XFactor nel 2017. Feci il provino, mi richiamarono ma non ci andai. Pensavo di non riuscirci. Con il tempo mi sono circondata di persone che mi hanno fatta sentire alla pari, come una collega, e questo mi ha fatto bene. Un anno fa ho iniziato a lanciare e pubblicare i miei brani.

Qual è il tuo primo pezzo?

Nel 2017. Nicotina. Un blues, R&B. Il testo richiama la sostanza della sigaretta, anzi parlo proprio alla sigaretta come se fosse una persona di cui sono dipendente. La dipendenza come sostanza, la sostanza come una persona. La dipendenza, alla fine, è sempre la stessa. Poi è arrivato “Coffee Bar”, l’ho scritto in tre giorni nel periodo di lockdown. Il pianoforte me lo ha eseguito un ragazzo diplomato al conservatorio. Ho voluto ricercare un’atmosfera come quella del piano bar. L’incontro con un uomo che poi finisce male, con una delusione. Un testo in chiave fantozziana e noir. Parlo dei rapporti, sempre. Del fatto che non sai chi hai davanti, come in tutti i campi della vita. La voglia di ricordarci delle epoche passate, il ritorno agli anni Cinquanta. Il brano è molto gessato nel video. Un collage di pezzi di vita, di ricordi, il colore rosso che è carnale, la passione, perché dentro siamo fatti di sangue. Nel mezzo del video-collage c’è come lo strappo di una pagina. La vita è fare una cosa e poi ricominciarla, capire, ristudiare. Lì c’è la mia personalità a pezzi e che ogni giorno cerco di sistemare e rincollare. Su tutto questo vorticoso giro di simboli, il caffè resta un elemento della quotidianità, il momento in cui hai una boccata d’aria e rifletti.

Con Discodrama alzi la posta e ti sei fatta scoprire da un pubblico più ampio. Parli ai giovani?

Avevo un riff di basso nella mente, un giro particolare, che mi faceva muovere il corpo. Ho pensato potesse far muovere anche le altre persone. Era ancora il periodo delle chiusure, le discoteche erano out. Ho voluto fare una canzone e un video musicale che ricordasse un po’ come ci si sente a stare in discoteca, inviando ai ragazzi un messaggio dentro una di quelle strutture chiuse, dentro quel luogo di svago, di festa, di riunione sociale. Racconto la possibilità di divertirsi, ma senza droghe e alcolismo, nel rispetto delle regole. Scrivo che balliamo sopra le mine, come se fossimo distratti dai tanti impulsi esterni, e non ci accorgiamo di ciò che accade dentro di noi. Come sta messa la nostra vita?

Sei diventata madre molto presto. Come ti ha cambiata la maternità?

Ho sempre coinvolto mio figlio nei progetti di cui entravo a far parte. Quando ero incinta gli ho fatto ascoltare tanta musica, anche Mozart. Nella pancia sentivo le sue vibrazioni, c’era sempre un contatto tra la musica, tra le anime nostre. A volte ho arrangiato canzoni col pancione, e mi sentivo che lui era lì con me. La musica ha colorato il rapporto materno.

Nel tuo percorso assumi una posizione molto forte sulla questione femminile.

Il fatto è che vorrei la mia storia facesse da esempio per le altre ragazze. Vorrei far capire che se sei donna e madre puoi fare molto, siamo artefici di noi stesse, facciamo delle scelte e decidiamo di portarle avanti. Ho sempre deciso di non ascoltare i pregiudizi. Una donna può sentirsi in difficoltà per qualsiasi motivo. Ma il presente, il futuro dipendono da noi stesse. Le donne hanno un bagaglio di forza interiore enorme. In “Ad Alta Voce” – testi miei e musica di Nardelli – parlo esplicitamente di violenza contro la donna, in particolare di una donna che si sente violentata due volte, fisicamente e per l’incomprensione delle istituzioni. In effetti, spesso non c’è una correlazione con il giusto e la giustizia, non sempre è così. Ci sono cause in tribunale troppo lunghe, le donne sono costrette a denunciare, ma sanguinano e soffrono senza avere voce in capitolo. “Ad alta voce” significa dire in faccia la verità, l’urgenza di ribellione. Della questione femminile, tuttavia, non bisogna solo parlarne. Sono necessarie le azioni. In quel brano, ti faccio vedere cosa significa il dolore di una persona.

Qual è il futuro di Scarlet?

Ho un sogno, un programma che mi sono data per il 2022. Realizzare la mia prima raccolta di canzoni che racchiude le esperienze provate nei miei primi 25 anni di vita. Un album che si intitolerà “Cresciuti in fretta”. Molti ragazzi non hanno avuto le cose semplici. Venire al mondo non è mai facile. Crescere a volte è una esperienza dura, ma ti porta a capire chi sei. Molti giovani devono farlo in fretta, per motivi sempre legati alla società contemporanea. I figli, noi figli, dobbiamo capire subito il gioco della vita. Mi sento una donna che già da bambina è dovuta crescere prima del normale, prima della mia età. Ma alle nuove generazioni voglio dire di tener duro. Non abbassate mai la testa davanti a nessuno, non demoralizzatevi. Se sbagliate e perdete qualcosa, potete sempre ricominciare. Non perdetevi.

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