Alla z2o Sara Zanin Gallery di Roma è in esposizione ‘Verticale Terra’, la personale a due “voci” di Tocca-Prevedello

In Via della Vetrina, a Roma, si espongono le opere in dialogo di un pittore e di uno scultore che, a tempo debito, hanno deciso di combinarsi in un’unica voce che li unisce e li distingue tra i vicoli di quella strada, la quale prende il suo nome proprio da un vetro che fu montato per far sì che i passanti potessero sbirciare le specialità di un’antica osteria.

È negli interni di una delle due sedi della z2o Sara Gallery che Angelica mi accompagna nella visita della mostra Verticale Terra, di Fabrizio Prevedello e Michele Tocca, a cura di Davide Ferri, che in Via della Vetrina, 21 (l’altra sede della galleria z2o si trova in Via Baccio Pontelli, 16) ospita la personale dei due autori, visitabile fino al 5 giugno 2021. Grazie alla guida di Angelica e alle testimonianze dirette dei due artisti, soffermandoci su alcune opere, tentiamo di ricostruire una narrazione di Verticale Terra sia sulle sue origini che sulla sua esposizione.

La trilogia in stanze

Nella prima sala con le Mura Aureliane (viale del Policlinico) e le Mura Aureliane (S. Lorenzo), attraverso un doppio olio su tela 40×35 cm, Michele Tocca restituisce un’idea concettuale e formale dello spazio intesa sia come rappresentazione del dettaglio che come definizione dell’inquadratura. Le due opere, posizionate quasi a specchio, colorano l’immagine delle mura sotto due luci opposte. Una proveniente dal grigio di un cielo plumbeo, l’altra più accesa dall’azzurro del sereno, per un apparente positivo e negativo definiti in porzione. La realizzazione ripropone il senso del dettaglio sia nella totalità che nei particolari. Ed è quest’armonia particolareggiata che, come sottolinea il racconto di Angelica, fa di quest’opera, rappresentata in un doppio dell’immagine che rievoca alcuni tratti della formula del doppio letterario, una testimonianza artistica che percorre un sentiero pittorico che dal punto di vista temporale attraversa una molteplicità di epoche e di temperie. Un genere polifonico inciso in suono d’immagine tanto dalla tradizione quanto dalla sperimentazione.

Michele Tocca

“La parola racconto rientra in un senso di svolgimento. L’opera si realizza e in qualche modo racconta se stessa. Il tempo che impiego, i momenti che trascorro per le ispirazioni, fino agli aneddoti di natura ordinaria, compongono un aspetto fondante della mia produzione. Un oggetto, un indumento, o anche una semplice apparizione improvvisa di qualcosa possono costituire lo scatto per arrivare ad altro. La mostra si apre con delle vedute, rappresentate dalle Mura Aureliane che rievocano la camminata che percorrevo ogni giorno da casa allo studio che avevo a San Lorenzo. Le mura mi suscitavano una sorta di cornice della città. Mura che seguivo sistematicamente a mo’ di guida e distrazione al tempo stesso. Quando cammino per strada tendo l’orecchio ai rumori, ai suoni. Gli uccelli, le biciclette, un bambino, un’automobile e ogni altra immagine sono potenzialmente fonte di ispirazione in forma anche poetica. Tutto guidato da un senso della concentrazione intenso, che non smarrisce, ma che si sforza di raccogliere questo materiale immaginario e reale al tempo stesso attraverso la contemplazione. Lo sguardo assume una funzione fenomenologica. L’opera riflette una replicazione dove lo sguardo e la luce, l’oggetto e la rappresentazione tendono a fondersi. Così, dando vita al momento. Infatti, la prima sala già presenta il dialogo nato con le opere di Fabrizio Prevedello. Le sue rocce simboleggiano nel suo ‘Luogo’ gli spazi segnati da questi ‘incidenti’ della materia, in questo caso del marmo, che dialogano con le feritoie e le fessure delle mie mura riscoprendo, sia pur attraverso simboli ed elementi diversi, significati che possono essere messi in comunicazione. Questo, per esempio, è un aspetto che sta molto a cuore a Davide Ferri, curatore della mostra”.
Michele Tocca

Il sudario

L’ultima “stanza” contempla l’installazione di Fabrizio Prevedello dal titolo Sceso da una cava sul monte dentro lo zaino (Pensando a Carlo Scarpa che pensava a Costantin Brancusi). L’opera è costituita da una vasca di metallo riempita d’acqua dalle dimensioni di 38,5x117x197 cm, su cui è poggiato un pezzo di marmo raccolto in una cava abbandonata. In realtà, nello “spessore” d’acqua sono immersi dei piccoli frammenti di marmo che reggono il masso maggiore senza che questo tocchi il fondo metallico, così da creare un effetto di sospensione e galleggiamento sulla superficie liquida. Scarpa e Brancusi, invece, rappresentano due maestri di riferimento.

Fabrizio Prevedello. In fondo, dipinto di Michele Tocca

Sempre di Prevedello è invece Accumulazione per scomparsa (Offenbach), un’opera rappresentata da una struttura in metallo che raffigura una specie di finestra da cui è visibile tanto la bidimensionalità della sua forma rettangolare, quanto la profondità tridimensionale che consente al telone situato su un supporto diagonale alla base superiore di reggere la caduta di un telo che supera appena la barra inferiore. Come Angelica mi racconta, la “tenda” di tela proviene da un materiale originariamente utilizzato per conservarne dell’altro e che non sarebbe stato destinato a realizzare un’opera se non fosse stato per l’idea di Prevedello di riutilizzarlo per restituire un’imprevista dignità a quello che appare come il sudario segnato dall’impronta di un’antica funzione. Un significato probabilmente generato in linea di quella spiritualità artistica votata a una vocazione “penitenziale” dell’arte, finanche coi suoi materiali.

“Davide Ferri ha individuato i giusti elementi per costruire un meccanismo che potesse mettere in mostra le opere. Quello che accomuna lo sguardo di Michele Tocca al mio è un insieme di soggetti che diventino come delle porte utili a ulteriori riflessioni. L’impressione che ho avuto dei quadri di Michele, che posso confermare per quanto riguarda le mie opere ma, da artista, tento di intuire nelle sue, è che quando lui osserva i soggetti dei suoi dipinti, che si tratti delle mura, del fango o dei vapori, è come se lui attendesse che si aprisse una porta che lo conduca nella memora di quello che sta osservando. Ecco che il processo naturale che tiene insieme i mattoni di argilla in qualche modo coincide con quello che mescola la polvere al fango. Quindi, la contemplazione del dettaglio diventa la possibilità di accesso a qualcosa di più grande.”
Fabrizio Prevedello

Torna, così, la fase della contemplazione che pare saldare ulteriormente i punti in cui s’incontrano le traiettorie dei due artisti, fino alla codificazione di una tacita e armoniosa coincidenza di fondo.

In primo piano, Fabrizio Prevedello. Sullo sfondo, Michele Tocca

“È come se l’osservazione delle mura, o, in misura ancora più grande, della stessa città di Roma, servisse allo sguardo per oltrepassare quello spazio disponibile allo sguardo per giungere anche a quello che si trova fuori. E questo è un aspetto che mi piace sentire nei lavori di Michele Tocca ed è anche quello che faccio io, sia pur diversamente. Anch’io osservo i miei luoghi con la stessa attenzione e concentrazione. Con la differenza che i miei luoghi sono un po’ meno comuni, perché mentre per le mura Aureliane passano quotidianamente tante persone, per i luoghi ai quali sono più abituato io ne passano di sicuramente meno. Tuttavia, è questa dedizione che io percepisco come una tensione comune tra me e Michele Tocca. Dal punto di vista artistico provengo da una formazione tradizionale. Da scultore, intendo, ho per anni scolpito il marmo per opere figurative. Questa modalità che si può vedere invece nelle opere esposte in Verticale Terra è sicuramente diversa. C’è, sì, l’utilizzo del solito materiale, quello classico, canonico, d’eccellenza per la scultura, ma è fatto con le “briciole” di quello stesso materiale. Un materiale che ha un’enorme storia e col quale si è raccontata la storia e lo riutilizzo impiegandone anche le parti residuali e più minute.”
Fabrizio Prevedello

Michele Tocca ha dipinto i tre “vapori”, Vapore e qualche nuvola bassa, Vapore e nebbione, Vapore (alba), anch’essi esposti nella terza sala, verbalizzando il fuori contemplato a lungo dalla finestra di casa. Un inno agli ultimi bisbigli dell’oscurità e ai primi colpi di un’alba che regola l’affanno e la fatica della composizione di tre tele che l’artista ha iniziato e concluso non prima di aver interiorizzato – ancora una volta Tocca compie la verbalizzazione materica della sua passione – il “negativo” dell’opera.

“Anch’io trasporto le tele, talvolta anche alla bell’e meglio. Mi può capitare di essere rapito da un’impronta, da una pozza di fango durante il maltempo, così come posso trascorrere ore e ore a osservare queste condense che si addensano intorno alle montagne e che rappresentano quasi una maschera, un allontanamento rispetto al paesaggio dei monti Simbruini. Seguo lo spargersi, lo svolgersi di questi vapori. Sin dalle prime ore del mattino, fino a un assorbimento che rievoca il processo di assorbimento sulla tela e che rimanda a una tradizione molto importante come quella, per fare un esempio, del pittore Jean-Baptiste-Simeon Chardin. E questa composizione del trasporto, condotta dalla concentrazione-contemplazione-assorbimento, emerge anche nel lavoro di Prevedello.”
Michele Tocca

La norma della dedizione totale e consustanziale detta le intenzioni di un’opera che non presuppone distacco. Il distacco avviene materialmente, ma tutto il suo processo di compimento si lega costantemente al suo autore. In questo caso, ai suoi autori, che in Verticale Terra, anche grazie al lavoro e alle intuizioni di Davide Ferri, proprio come scritto dal curatore, danno vita a un “confronto o uno spartito in cui differenti toni si attivano e rilanciano reciprocamente”.

Come scrive Harold Rosenberg, “Una pittura che è arte risulterà inseparabile dalla biografia dell’artista. La pittura stessa è un «momento» nel miscuglio composito della sua vita, sebbene il termine «momento» indichi tanto i pochi minuti effettivamente impiegati attorno alla tela quanto l’intera durata di un lucido dramma espresso nel linguaggio dei segni. La pittura d’azione (action painting) ha la stessa metafisica sostanza dell’esistenza dell’artista: la nuova pittura insomma ha tolto via ogni separazione fra arte e vita.”

Fabrizio Prevedello e Michele Tocca lasciano orme sia sul terreno secco o fangoso di un’ipotetica superficie d’azione e sia in uno spazio aereo in cui i contorni di queste orme appaiono e si mimetizzano tra i frazionamenti di una spazialità in cui coesistono suoni, colori, forme, in una grande visione astratta e realistica al tempo stesso, osservata, trasportata, manipolata e restituita secondo un codice del silenzio che parla un linguaggio il cui fine più profondo è l’accorgersi della potenza del dettaglio. Lo scrutabile e lo scovabile in composizione.

In copertina, dettaglio delle Mura Aureliane – Michele Tocca

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