La pandemia sta funzionando benissimo

Gli eventi hanno servito gli eventi su un piatto d’argento. Si sbaglia chi crede che chi ha il potere se ne servirà per combattere e contrastare questa o altre pandemie. Tutto il contrario. Si servirà di tutto solo per governarla. Era da temere sin dall’inizio, ne abbiamo conferma adesso.

Nessuno restituisce la felicità a qualcuno. Tantomeno chi detiene il potere. Chi detiene il potere è infelice per definizione, perché è malato. Dipende da qualcosa senza cui la sua vita varrebbe poco e niente al cospetto di se stesso. Si può possedere tutto e disporne a dismisura, ma si resta nella malattia se, nel contemplarsi, ci si scorge unicamente vivi solo perché l’agire si impone senza merito, senza stime. Il potere, invece, ha bisogno sempre di qualcosa per perpetrarsi a lungo indisturbato. Per questo è la cosa più infelice di questo mondo.

Qualcuno si aspettava o si aspetta che il potere provveda a ripristinare l’integrità perduta? La possibilità di rivivere senza restrizioni, il non doversi più contentare e tutto quanto prerogativa di quella vita che almeno consente, libera in qualche modo, riunisce o isola senza timori? Tutto questo non sta a cuore al potere, perché il potere riadatta e ridimensiona se stesso agli eventi. Non sarebbe in grado di generarli, gli accadimenti, se non fosse anche pronto ad adattarsi alla loro imprevedibilità.

La pandemia è un sistema, non un avvenimento naturale. È come una riforma storica. Non vi agisce solo un virus, ma un intero meccanismo che reagisce, risponde e determina anche secondo se stesso. E molto dipende da come quel meccanismo era stato predisposto prima che la causa scatenante ne rivelasse anomalie e insuccessi. La pandemia ha lanciato un modello didattico di massa. Sta rieducando le persone. Non so se sia un processo irreversibile o provvisorio, ma dentro vi operano tutti, anche chi crede di esserne soltanto spettatore.

Ancora una volta, il potere ha disseminato la trappola più efficace della modernità, lasciando che ognuno si senta parte attiva, talvolta protagonista, in quel gioco di esclusioni che non confessa di voler, in realtà, emarginare, eludere, ingannare e condurre a un oblio fatto di rabbia e di confusione. Non esiste più nulla possa che assicurare conforto. Solo una lunga ed estenuante attesa per quello che non si sa se e quando arriverà. Un’ambigua e avvelenata percezione del tempo dentro la sensibilità di una civiltà che sempre più rabbiosamente si comporta come se non avesse più tempo. Ed è il sepolcro dei morti di questa e altre pandemie.

In copertina, dipinto di Renzo Ferrari

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