‘Eau argentée, Syrie autoportrait’, l’orrore ha un volto

Qualcuno si lamentò della presenza massiccia ed eccessiva, al Torino Film Festival del 2014, di pellicole horror. In concorso ce n’erano addirittura due: il sorprendente The Babadook dell’esordiente australiana Jennifer Kent e l’esilarante commedia vampiresca What We Do in the Shadows, diretta e interpretata da Jemaine Clement e Taika Waititi, autore neozelandese fresco di Oscar per la sceneggiatura con Jojo Rabbit. Nelle altre sezioni era poi possibile imbattersi in opere pregevoli come It Follows di David Robert Mitchell e The Canal di Ivan Kavanagh. A completare il quadro c’erano, infine, la “personale” dedicata al giovane regista statunitense Jim Mickle e il “gran finale” con la proiezione della versione restaurata di Profondo Rosso, il classico diretto da Dario Argento.

Risultato immagini per eau argentée  filmIn realtà, il più terrificante e annichilente film dell’orrore presente in quella edizione, peraltro bellissima, era Eau Argentée, Syrie autoportrait, documentario sulla Siria, presentato Fuori Concorso nella sezione TFF.doc e già passato per i Festival di Cannes, Locarno e Toronto. Il film porta la firma di due autori, il regista siriano Ossama Mohammed e la giovane attivista curda Wiam Simav Bedirxan, maestra elementare, che filma con la sua telecamera l’assedio della città di Oms in cui viene lei stessa ferita. In realtà i veri autori sono le decine di siriani che, come Wiam Simav, attraverso i social network inviarono a Ossama, da mesi in esilio in Francia, i video-choc che il regista ha selezionato e che vengono mostrati nel suo film. Si tratta di filmati agghiaccianti che mostrano uomini, donne, bambini uccisi in seguito alla feroce repressione militare ordinata dal dittatore Bashar al-Assad. Sono inoltre presenti alcune immagini filmate dai militari durante le torture e le uccisioni da loro messe in atto, in cui si vedono corpi percossi e brutalizzati.

Risultato immagini per eau argentée  filmSono ovviamente immagini spesso di scarsa qualità, girate durante momenti convulsi che mostrano corpi sanguinanti riversi sull’asfalto, corpi immobili, trafitti da pallottole o straziati da bombe mentre i sopravvissuti scappano o si aggirano tra le macerie di un Paese meraviglioso e oramai distrutto. E poi neonati col cordone ombelicale impolverato, corpi trascinati o impiccati, profughi. E purtroppo molto altro, tutto sotto il segno della più indicibile violenza. “Havalo” è il termine con cui la Bedirxan si rivolge ad Ossama durante le loro conversazioni su Facebook: vuol dire “amico mio” in curdo, così come nella stessa lingua il nome dell’eroica co-autrice, Wiam Simav, si tradurrebbe con eau argentée, acqua d’argento.

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Eau Argentée, Syrie autoportrait ci immerge in quell’orrore senza fine che purtroppo, come aveva giustamente detto il colonnello Kurtz, “ha un volto”, anzi decine di volti e di corpi di uomini e donne vittime di guerra. Apocalisse, now. Il film di Ossama Mohammed e Wiam Simav Bedirxan, e di tutti i siriani che hanno inviato al regista le loro testimonianze che hanno permesso di raccontare (o meglio rendere note) queste “mille e una storia”, è anche una potente e straordinaria riflessione sul ruolo del cinema, sul suo porsi come estremo baluardo contro la devastazione, documento, testimonianza, atto di resistenza e talvolta persino di consolazione. In una delle loro conversazioni in chat, infatti, Simav dice ad Ossama che vuole far vedere un film ad alcuni bambini della scuola e gli chiede quale film scegliere. Poco dopo vediamo scorrere sullo schermo la scena dell’incontro di boxe in Luci della città di Charlie Chaplin, sequenza immortale dove la violenza non è altro che un sublime balletto comico.

Nelle ultime sequenze, però, la videocamera di Simav pedina un bambino che si aggira per la città distrutta, indicandoci i luoghi dove sono appostati i cecchini e strappando fiori per le strade alla ricerca di quelli più belli da portare sulla tomba del padre. E allora diventa impossibile trattenere le lacrime.

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