Jannis Kounellis in retrospettiva a Venezia. Per la sua opera in sogno e in accumulo

Presso gli spazi del palazzo Ca’ Corner della Regina, Venezia ospita un’ampia retrospettiva dedicata a Jannis Kounellis, due anni dopo la scomparsa dell’artista greco. La mostra, a cura di Germano Celant e allestita nel palazzo che è la sede veneziana della Fondazione Prada, sviluppa un progetto espositivo in collaborazione con l’Archivio Kounellis, fornendo oltre 60 opere comprese tra il 1959 e il 2015. La mostra è integrata dalla presentazione di un film, di cataloghi, di manifesti e di materiale fotografico d’archivio che testimoniano la storia espositiva di Kounellis e da un focus dedicato ai suoi progetti in campo teatrale. L’esposizione è arricchita da un volume che, contenente un saggio di Germano Celant e un’ampia cronologia illustrata, documenta il percorso biografico e artistico di Kounellis. Progettato dallo studio 2×4 di New York, il volume è pubblicato dalla Fondazione Prada.

Nell’edificio situato nel sestiere di Santa Croce e che fu della famiglia Corner, la retrospettiva dedicata a Kounellis rintraccia il percorso temporale dell’artista anche rispetto a una cronologia che ripercorre i momenti della sua carriera. I supporti didascalici abbandonano l’assistenza per concedersi introduzioni più calde e dirette affidate a frammenti di interviste e di dichiarazioni dell’artista greco. La parola del suo pensiero accompagna la visita al suo immaginario che egli stesso tiene a definire di pittore, legandosi a un senso dell’immagine quasi assoluto.

La genesi della mostra fissa l’inizio del suo percorso con la scomposizione del linguaggio che Kounellis ha rappresentato nella prima metà degli anni ’60, attraverso lettere, numeri e frecce, prima di concentrarsi sulla tensione della rappresentazione per mezzo di elementi materici e concreti, come la terra, la lana e il carbone.

Kounellis trasforma il suo linguaggio grafico in un intimo codice fisico e ambientale, aprendosi a un’indagine artistica affidata a materiali organici e inorganici. I sensi subiscono un coinvolgimento diretto e primario. L’olfatto si allinea al potere della vista e l’utilizzo del caffè e della grappa riempie la montatura di un grande impianto sensoriale. Alla fine degli anni ’60, Kounellis va alla ricerca di un equilibrio che riesca a ridiscutere i rapporti di forza, o di debolezza, tra le pressioni gravi e, al tempo stesso, lievi, dell’estemporaneità di sistemi di forze tanto rigidi quanto precari. Il suo ingresso, incidente quanto altri importanti artisti che vi hanno aderito, nell’arte povera avviene, proprio alla fine degli anni ’60 (quando l’arte povera aveva da poco affermato se stessa), secondo un recupero della cultura antica restituita attraverso i linguaggi del contemporaneo.

Nonostante il dopoguerra abbia imposto uno statuto astorico a molte delle temperie artistiche, soprattutto a causa della riconosciuta perdita dei valori successiva ai drammi del secondo conflitto mondiale, Kounellis non disdegna di assegnarsi elementi di natura storica. Si percepisce la necessità di riportare alla luce epoche in cui sono nati i segni intimi della sua memoria. Un profondo motto di spirito in recupero di quei simboli che hanno caratterizzato un particolare momento storico.

“Il ferro e il carbone sono per me i materiali che meglio rievocano il mondo della Rivoluzione industriale, i primordi della civiltà contemporanea. Io per esempio sono particolarmente affascinato dalle locomotive anni Trenta. Se costruisco una carboniera voglio rievocare quel mondo, quelle sensazioni, e cerco di farlo nel modo più attendibile e riconoscibile, attenendomi anche a misure precise”

Tratto da un’intervista di Franco Fanelli per Il Giornale dell’Arte, gennaio 1989

 

Ed è proprio il tema della misura a emergere, tra i molteplici, nella retrospettiva dedicata all’artista nato nel Pireo. Le strutture in metallo, che hanno in dote anche una missione di stimolazione visiva tanto quanto un’opera pittorica (Kounellis si definisce tale), contengono in virtù di una concezione dello spazio intesa come accoglimento. Il dentro in ogni possibilità di tale contenimento. L’addensarsi in accumulo di certi materiali e di certi elementi, come i sacchi di juta, le scarpe, le stoffe, gli indumenti, le piastrelle e i frammenti di busti e di volti, rivolge un sepolto che pare provenire dalle rovine di un altro tempo, ribattezzato in un luogo comunicante col nuovo.

Le forme dell’architettonica urbana non sembrano assentarsi da un operato, quello di Kounellis, in cui la riforma della propria arte rifugge e si rifugia da e in un sistema di luoghi che, in virtù del concetto precedentemente affrontato, funzionano da spazi ospitanti e ospitati, per una funzione della forma e della sostanza mutuabile e senza riferimenti assoluti.

Il percorso espositivo della retrospettiva veneziana dedicata a Kounellis non sembra, al tempo stesso, sottrarsi alle controversie critiche sull’autore delle opere in mostra a palazzo Ca’ corner della Regina. Jannis Kounellis appartiene a una temperie di artisti discussi e dibattuti anche a causa dell’incidenza di una critica talvolta troppo incline a sostegni di maniera, col rischio di consolidare un metodo di osservazione dispotico e impermeabile. L’artista greco, volendo accostarsi alla sua testimonianza, rischia di restare esasperatamente ancorato al suo tempo? Inteso, sia ben chiaro, come luogo di ispirazione troppo rinchiuso in se stesso. Il suo ipotetico sogno, colto dalle sue stesse parole che a più riprese lo hanno dichiarato tale, non rischia di restare sepolto sotto le sue rovine, apparenti o no, addensate su se stesse in uno spento silenzio? Rischia, cioè, di diventare un artista assegnato piuttosto che un artista in grado di aver segnato?

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