All’ombra della Mole – incontro col neogotico piemontese (prima parte)

Intervista a cura di Fabio Lastrucci e Vincenzo Barone Lumaga

Nel corso della recensione all’antologia Ipnagogica abbiamo già accennato al gruppo di scrittori piemontesi di cui Christian Sartirana fa parte, un agguerrito drappello di autori corregionali uniti dall’interesse comune per il gotico e il weird. La forte connotazione territoriale delle loro opere influenzate dalle atmosfere cariche di suggestioni e mistero della propria regione, ha dato vita alla libera formazione denominata Strän. Una realtà tenuta a battesimo da una serie di incontri pubblici in cui gli autori si sono confrontati parlando delle personali visioni poetiche convergenti nel progetto. Qui di seguito la prima parte di una conversazione multipla in cui Marolla, Arona, Cometto, Mana, Borgio, Sartirana e Musolino ci svelano il mondo sotteso agli incubi degli Strän.

Il vostro movimento letterario raccoglie personalità unite da comuni radici geografiche ma con sensibilità e caratteristiche molto diverse, sia nella resa finale che nei personali modelli letterari. Come convivono queste anime in un’identità collettiva?

Samuel Marolla:
Permettimi di fare una piccola premessa. Il progetto STRAN è lontano da concetti di “canone” e da “collettivi letterari” che ricordano esperimenti italiani del recente passato i quali però non hanno avuto successo. STRAN è molto diverso sia nello spirito che nella pratica. Nello spirito, perché non abbiamo creato noi STRAN; lo abbiamo solo scoperto, in un certo senso, accorgendoci che esisteva già un discreto fermento nella narrativa gotica piemontese moderna. Per coincidenza, o forse per qualche arcana alchimia, molti di essi pubblicavano o erano in procinto di pubblicare per Acheron Books: Borgio, Cometto, Mana, Arona, Sartirana, Astori, Musolino. Ce ne siamo resi conto, abbiamo intuito che qualcosa di maligno strisciava in quelle terre brumose, o che forse il vino di quelle zone veniva raccolto in vigneti dove accade qualcosa di sbagliato, e abbiamo deciso di fondare STRAN per sostenere la follia visionaria di questi autori. Siamo diversi da collettivismi vari anche nella pratica: noi non facciamo filosofia, non creiamo canoni di riferimento, noi pubblichiamo e vendiamo libri, diffondendo il gotico piemontese ovunque sia possibile, alle fiere, agli eventi, lo portiamo nelle librerie, da quelle indipendenti agli store Mondadori e Feltrinelli, lo spingiamo sui social e su Amazon. Insomma, poca filosofia e molta sostanza. Che poi si tratti di sostanza MALEFICA, beh, ma questo è il bello, no?
Per rispondere alla tua domanda: in virtù di quello che ho premesso, non credo sia ancora una identità collettiva, non so se mai lo diventerà, ma credo solo che QUALCOSA DI SPAVENTOSO STIA SUCCEDENDO DA QUELLE PARTI. E gli autori di STRAN ne sono soltanto “i pallidi mortiferi araldi.”

Come autore di lunga esperienza e padre nobile del weird/horror piemontese, che definizione daresti a questo movimento per presentarlo al pubblico?

Danilo Arona:
Si tratta di un’aggregazione spontanea di scrittori accomunati non solo dalle origini native, ma da una ricerca quasi antropologica su quel terreno affascinante confuso tra folclore e cronaca di paure antiche e moderne legate in primo ai “luoghi”. Chiamandoli in latino, questi sono “loca infesta”, dove l’infestazione non è necessariamente “fantasmatica”, ma può identificarsi con la pazzia, riti antichi ma non sepolti, creature ibride e pericolose, maledizioni apportatrici di energia nefasta. Ma l’infestazione più pericolosa in Piemonte si chiama ancora Sindrome del Sole e del Silenzio, regno dei Demoni Meridiani e del Tempo Sospeso. E i luoghi non sono soltanto castelli o case abbandonate, ma paesi e città…

In che misura pensi che l’ambiente in cui sei cresciuto abbia influenzato la tua scrittura? Facendo un gioco di fantasia, quanto sarebbe potuto essere diverso il lavoro di un Maurizio Cometto scrittore nato e cresciuto in Sicilia, o nel Friuli?

Maurizio Cometto:
Su alcuni libri, l’ambiente in cui vivo o sono nato ha influito molto; su altri, meno. Per esempio i romanzi ambientati a Magniverne o a Vallascosa risentono, evidentemente, della mia infanzia robilantese (Robilante è il piccolo paese della provincia di Cuneo dove sono cresciuto), mentre un libro come
Cambio di Stagione non potrebbe essere ambientato se non a Torino. Invece racconti come La Tierra Blanca, che presto verrà pubblicato in inglese su una prestigiosa rivista canadese, o Rock show, non hanno un’ambientazione che si riferisce direttamente alla mia esperienza di vita. Se fossi nato e cresciuto in Sicilia o in Friuli? E’ difficile dirlo. L’ambiente, soprattutto quello in cui ci formiamo, ha una forte influenza sul carattere e quindi sull’immaginario. Penso tuttavia che una cosa sarebbe rimasta costante: la mia predilezione per il fantastico. E il fantastico può nascere in qualunque tipo di situazione, perché è ciò che sta al margine di quanto percepiamo come reale. Sono le ombre dei fantasmi che si muovono al di là, e che riverberano ai margini del nostro campo visivo. Un po’ come i Mitago del grande Robert Holdstock.

Di tutte le letterature, quella horror, legata alla psicologia del profondo, è di certo una tra le più soggettive e individualiste. Quanto ti riconosci nel lavoro dei “colleghi” Strän e quanto pensi che possano trovare in te come terreno d’ispirazione comune?

Christian Sartirana:
Personalmente ritengo (e non l’ho di certo inventato io) che la letteratura dell’Orrore affiori dal vissuto personale “traumatico” di chi la scrive.
Ciò che abbiamo vissuto, in particolar modo le note negative del nostro passato, condizionano la nostra percezione e la nostra visione del mondo e delle persone che ci vivono e quindi, di conseguenza (per chi ha ambizioni artistiche) anche la nostra vena creativa. Nella sua introduzione all’antologia
A volte ritornano Stephen King parlava di “filtri” che trattengono alcuni tipi di ispirazioni e ne lasciano passare altre. Ramsey Campbell (autore in cui mi riconosco molto), meno sottile, nella recente introduzione italiana di “La faccia che deve morire” parla direttamente della psicosi di sua madre e del modo in cui questa abbia forgiato la sua visione del mondo e quindi anche il suo stile narrativo. Poi ci sono Poe, Lovecraft, Guy de Maupassant, Bierce… Esempi di un passato più o meno traumatico, tra i produttori e i consumatori di questo genere, ne troviamo a bizzeffe. Si va dal genitore instabile, agli abusi fisici e psicologici, al divorzio o alla morte dei familiari. Sono innumerevoli le opportunità con cui la vita può condizionarci negativamente. E quando la scriviamo la raccontiamo così come si è incisa dentro di noi, anche se in forme sempre diverse, agganciandole ad altre situazioni. Io almeno faccio così.
Da questo punto di vista quindi ritengo che ogni autore di genere sia legato più o meno ai suoi colleghi da questa origine/trauma comune, un po’ come i sette fortunati nel romanzo It di King: uniti dal comune odio/terrore per Penny Wise e Henry Bowers.  La paura e le ossessioni sono un qualcosa di molto intimo e personale dopotutto, ed io penso che, tra un autore e l’altro, quando non si parla di tecnica, si condividono soprattutto gli incubi.
Per rispondere più direttamente alla tua domanda nella squadra Stran mi riconosco molto in certe “immaginazioni” di Cometto e nelle atmosfere di Borgio (almeno per quanto riguarda la mia vecchia produzione). Ma anche le storie di Mana, Arona e Musolino mi offrono panorami mentali familiari.

Conoscendo la tua attività di scrittore è nota la tua familiarità con l’universo letterario anglosassone che ben conosci come traduttore e talvolta interprete di narrazioni calate in un immaginario a stelle e strisce. Quanto pensi di riuscire a coniugare insieme  tra la dimensione d’origine Stran e le culture straniere che frequenti abitualmente?

Davide Mana:
Ci sono in realtà due risposte a questa domanda, che non si escludono a vicenda ma anzi si integrano. La prima è che, per quanto ci possano essere delle differenze di linguaggio o di sensibilità, i lettori – e in particolare i lettori di genere – sono, al loro meglio, persone curiose e interessate alla diversità (di stile, di contenuti, di idee). Questo significa che di fatto raccontare una storia agli italiani, agli inglesi o agli australiani non fa poi una grandissima differenza. La maggior parte delle differenze sono, io credo, meramente “tecniche”.
La seconda risposta è che parlando di un progetto come Stran, che ha al suo nucleo l’idea di “weird”, per dirla all’inglese, è proprio il
weird a fare da ponte e da canale di comunicazione. E se è vero che una storia sovrannaturale ambientata nella campagna piemontese (per dire) è probabilmente lontanissima da ciò con cui un lettore di Shanghai o di Johannesburg può avere familiarità, al contempo proprio gli elementi dell’insolito, dello strano e del sorprendente forniscono un “gancio” al quale ogni lettore può aggrapparsi per avere dei punti di riferimento. Strani punti di riferimento, certamente, ma quello in fondo è ciò che cerchiamo leggendo narrativa weird.

Quale tipo di bagaglio di letture ti ha portato a scrivere questo tipo di letteratura?

Fabrizio Borgio:
Allora: ho iniziato con la fantascienza. Tutti i classici dell’epoca d’oro, da Asimov a Sturgeon, Heinlein, Clarke, Anderson…con Lovecraft mi sono accostato all’horror, passando da Poe a LeFanu, poi King, Campbell e Barker…poi dalla narrativa di genere alla letteratura in senso più ampio, Joyce, Mann, Steinbeck, Buzzati. Posso aggiungere che quindi l’eterogeneità delle mie letture si è dimostrata vitale per il tentativo di costruire una personale dimensione letteraria oltre che fantastica. Posso aggiungere un ulteriore pantheon di autori che va da Gandolfi a Øeg, da Fante a Tondelli a David Foster Wallace.

Proponiamo un gioco letterario. Partendo dalla tua visione personale dell’horror e mantenendo una connotazione fortemente piemontese, come reinventeresti un racconto molto british come Dracula calandolo in un contesto tipico della produzione Strän?

Luigi Musolino:
Pochi dubbi su come affronterei un racconto di “vampirismo piemontese”. Credo che una delle caratteristiche principali che accomuna gli autori di Strän, oltre a una passione viscerale per il fantastico, sia il fatto di essere cresciuti, o aver affrontato parte della loro vita, calati in un contesto geografico specifico e ricco di suggestioni cupe, quello del piccolo paese di provincia in cui tutti si conoscono e dove regnano la nebbia, il ricordo di antichi racconti/usanze del folclore e un contorno paesaggistico quantomeno grigio. Ecco, nell’ottica di questo gioco letterario scriverei un testo in cui il “vampiro”, inteso come entità ladra di energia, corruttrice della sanità e del benessere, sia proprio uno di questi paesi. Un agglomerato di vecchie case e cascinali che col passare dei secoli – secoli di noia, morti, pettegolezzi e umidità – o a causa di un evento nefasto che ne ha segnato indelebilmente la Storia, abbia acquisito un insaziabile appetito per l’energia vitale e la sanità mentale dello sfortunato viandante che si ritrovi ad attraversare i suoi vicoli bui. Un’operazione simile a quella attuata da Fritz Leiber nel romanzo horror-metropolitano “Nostra Signora delle Tenebre”, ma trasportata nelle più tranquille – all’apparenza – campagne piemontesi.

La seconda parte dell’interivsta verrà pubblicata la prossima settimana.

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