Zaniboni, segno d’aria

Se esistesse una immaginaria Hall of Fame del fumetto italiano, in mezzo le figure di grandi scomparsi che giganteggiano con la forza innovativa di un Hugo Pratt o un Andrea Pazienza, dovremmo incontrare anche disegnatori meno rivoluzionari, ma dotati di talento, forte personalità e un enorme professionismo come il Torinese Sergio Zaniboni, che ha concluso la sua lunga stagione artistica il 18 agosto.
Nella memoria collettiva il nome di Zaniboni è legato indissolubilmente alla figura di un antieroe, il criminale in calzamaglia Diabolik creato da Angela Giussani nel 1962. L’equivalenza, per quanto corretta, ha al tempo stesso del paradossale, in quanto nulla è più lontano dal disegnatore che le cupezze da cinema espressionista tipiche del genere “nero”. In questa contraddizione creativa acquista rilievo la caratura di Zaniboni, fumettista elegante e rigoroso, ovvero nella grande padronanza del mezzo grafico unita a un impaginato arioso, dal taglio filmico, in cui il racconto per immagini procede senza pesantezze e senza mai perdere di efficacia narrativa.

Forse la formazione di tipo tecnico e l’esperienza di grafico avranno contribuito al nitore e la precisione del suo segno, facendogli offrire prove di qualità non comune sin dagli esordi nella seconda metà degli anni sessanta, sulle pagine di una pubblicazione mensile dal titolo quanto mai emblematico, Horror.
La storica testata dell’editore Gino Sansoni (marito della stessa Giussani) è una sorta di Linus del macabro che nasce con la direzione gemella di Alfredo Castelli e Pier Carpi, proponendosi come un laboratorio colto, aperto dibattiti e sperimentazioni inedite per il pubblico dell’epoca, oltre che essere un’incubatrice di talenti quasi sempre sbocciati in brillanti carriere.

Sulla testata Sansoni troviamo un Carlo Peroni impegnato sul fronte orrido/grottesco che esplora reinventando stili e medium letterari come il fotoromanzo, vediamo sfilare un giovane Danilo Maramotti col suo linguaggio essenziale alla Chester Gould, oppure i fumetti e le illustrazioni di Marco Rostagno, passato poi con successo alla pittura.
Tra queste firme, i fumetti di Sergio Zaniboni colpiscono per la misura, dono raro in un genere dove domina l’eccesso, firmando brevi storie autoconclusive su testi di Pier Carpi in cui il raffinato uso dell’inquadratura, degli scorci virtuosistici, della mimica dei personaggi fanno da seconda regia al racconto, “raffreddandone” l’impatto grandguignolesco.
Nel corso del tempo, passando alla serie Diabolik per la quale produrrà circa trecento avventure a partire del ‘69, il disegnatore affina ulteriormente il suo tratto, rendendolo sempre più rarefatto e risolto con un uso parco del chiaroscuro, con un icasticità da illustratore priva di decorativismi o autocompiacimenti leziosi.

Con questa stessa freschezza di esecuzione, Zaniboni si muove con efficacia in altre branche del fumetto popolare, collaborando (tra le altre) alla testata per ragazzi “Il Giornalino” a partire dal 1972, con polizieschi come Il Tenente Marlo, su testi di Nizzi, o il pugile Il Campione, scritto da Alberto Ongaro. Sullo stesso settimanale delle edizioni Paoline, lo vedremo impegnato anche in serie orientate sul fronte umoristico, come Speedy car, sceneggiata da Paola Ferrarini e inoltre darà il via grafico alla serie Steam Rail, ideata e portata avanti dal figlio Paolo, già suo collaboratore sulle pagine di Diabolik.
La carriera di Zaniboni, improntata sulla qualità sempre costante e l’immediatezza comunicativa, gli consente di raccogliere importanti riconoscimenti che testimoniano l’attenzione di pubblico e critica al suo lavoro, ci riferiamo al Premio ANAFI del 1990 e il successivo Yellow kid del 2000.

Con una presenza così costante e apprezzata non poteva mancare una sua partecipazione a un’altra icona del panorama fumettistico nazionale, il ranger Tex, fiore all’occhiello delle edizioni Bonelli, che viene omaggiato dal 1998 con una serie di albi speciali di grandi dimensioni e ampio respiro.
Varata da Guido Buzzelli e arricchita da illustri ospiti stranieri come Joe Kubert, Alfonso Font ed Enrique Breccia, giusto per citarne qualcuno, la collana vede il contributo di Zaniboni nel volume successivo alla prova di Aurelio Caleppini, il celebre Calep creatore della serie.
Come sempre, Zaniboni non tradisce la propria impeccabile sigla grafica, offrendo in “Piombo rovente” su testi di Nizzi una personale rilettura del mito bonelliano, restando fedele allo spirito del personaggio, ma apportandovi la sua caratteristica leggerezza e cura del dettaglio. Qualità per le quali il cambiare delle mode non intacca la modernità di un autore versatile, che ha saputo calcare con pari agilità le tavole di un ring, le vie oscure della Clerville di Diabolik, o le sterminate praterie del vecchio West.

 

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