Cannes 70: “A Ciambra” di Jonas Carpignano premiato alla “Quinzaine”

La 70° edizione del Festival di Cannes si avvia lentamente verso la conclusione. Come abbiamo più volte ricordato, questo Concorso non passerà agli annali come uno dei più memorabili. Tra le ultime pellicole passate, è stato molto applaudito In the Fade di Fatih Akin, storia di una donna che perde il marito e il figlio, vittime di un attentato neonazista agli inizi degli anni 2000, un periodo in cui in Germania si verificò più d’un evento di questo tipo. Vista la forza e l’attualità del tema trattato e la scarsa concorrenza, appare tutt’altro che peregrina l’ipotesi di un premio per il film del regista turco-tedesco, interpretato da una brava Diane Kruger.

Bel colpo ieri per l’Italia che si è aggiudicata il Prix Océans France Ô, assegnato a A Ciambra di Jonas Carpignano, storia ambientata nell’ambiente dei rom e che racconta del quattordicenne Pio, costretto dalle circostanze della vita a crescere troppo presto. L’augurio è che il premio aiuti il film ad uscire nelle sale, poiché delle tre opere italiane presentate alla “Quinzaine des Réalisateurs” A Ciambra è l’unico a non avere ancora una distribuzione

Tornando al Concorso, poco o nulla hanno poi aggiunto l’ultimo dei quattro film francesi in competizione, L’Amant Double di François Ozon, e You were never really here di Lynne Ramsay.  Per quanto rigurada il primo, dopo l’ottimo risultato veneziano, dove aveva presentato il bellissimo Frantz, vincitore del Premio Mastroianni all’attrice Paula Beer (forse il vertice della filmografia di un autore bizzarro e discontinuo), Ozon ha presentato la storia di una giovane donna che sposa il suo psicanalista nella speranza che questi la aiuti a superare il  complesso rapporto con la sua sessualità e con un trauma prenatale. Sebbene non privo di alcune sequenze interessanti e di un ritmo incalzante, il film purtroppo è viziato da un’eccessiva bulimia di temi, testi e sottotesti, e appesantito da un citazionismo eccessivo che mette insieme suggestioni hitchcockiane, una vicenda con molti prestiti dal cinema di David Cronenberg (in particolare, lo splendido Inseparabili) e almeno una citazione, del resto piuttosto grossolana de La signora di Shanghai di Orson Welles. In questo incessante accumulo e nella sovrapposizione di roba su roba, il film finisce ad un certo punto per smarrirsi cadendo più volte nel ridicolo involontario.

Non molto meglio è andata con l’opera quarta della regista scozzese, qui in trasferta negli Stati Uniti. L’autrice dell’inquietante e bellissimo E ora parliamo di Kevin, si serve del corpo imbolsito e massiccio di Joaquin Phoenix per raccontare la storia di un reduce di guerra (che sia Afghanistan o Iraq al film poco importa) ed ex-agente dell’FBI che vive con l’anziana madre e viene incaricato di ritrovare la figlia di un senatore, rapita dai soliti cattivi. Violenza abbondante per un film che, a dispetto delle molte scene di azione, si trascina per i suoi circa 80 minuti (pochi per fortuna, ma interminabili) senza creare mai né tensione né coinvolgimento e con un protagonista che appare poco convinto, spinto all’overacting dalla pessima sceneggiatura, firmata dalla stessa regista.

In attesa dei premi, che quest’anno aspettiamo davvero con scarsa trepidazione, oggi il Festival verrà chiuso con l’ultimo film (Fuori Concorso) del grande Roman Polanski, D’après une histoire vraie. Tratto da un romanzo di Delphine De Vigan, il film ruota attorno ad una scrittrice che ha raggiunto la celebrità grazie ad un best-seller improntato sulla figura della madre. Alcune lettere anonime l’accusano di avere dato la sua famiglia in pasto al pubblico mentre Delphine incontra la giovane ammiratirce Elle, con la quale intreccia un rapporto morboso che rischia di mettere a repentaglio il suo equilibro mentale. Sceneggiato dal regista con Olivier Assayas, il film è un efficace compromesso tra il rigore dell’autore francese (cui si deve un intrigante sottotesto sul rapporto tra l’individuo e le nuove forme di socialità virtuale) e la regia raffinatissima di Polanski che ancora una volta, come nei recenti Carnage e Venere in pelliccia, mette in scena un gioco al massacro nel quale la riflessione metaletteraria viene rappresentata con toni da commedia nera rendendo il film assai godibile e molto riuscito, sebbene forse non verrà ricordato come una delle vette dell’eccelso cineasta polacco. Ottime le prove delle due interpreti, Emmanuelle Seigner e Eva Green.

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