Cannes 70: “L’intrusa” di Leonardo Di Costanzo è un film che scalda il cuore

La giornata odierna è stata l’occasione per il recupero de L’intrusa di Leonardo Di Costanzo, uno dei tre film italiani ospitati all’interno della “Quinzaine des Réalisateurs”. Anche quest’anno questa sezione collaterale del Festival ha confermato la sua vocazione di spazio capace di accogliere opere rischiose e sofisticate, dalla grande impronta autoriale che, in un Concorso principale con poco smalto, è diventata prezioso rifugio per i cinefili più intransigenti che piuttosto che lo splendore dei tappeti rossi e il glamour dei grandi gala che si tengono ogni sera nella magnifica cornice del Grand Théâtre Lumière, preferiscono percorrere i sentieri meno battuti della cinefilia. Non voglia sembrare una manifestazione di snobismo: che in una manifestazione colossale come il Festival di cinema più importante del mondo ampio spazio venga riservato a questo aspetto non deve scandalizzare: fa semplicemente parte del gioco.

Tornando al film di Di Costanzo, il regista napoletano ha realizzato con L’intrusa la sua seconda opera di finzione, cinque anni dopo il bellissimo L’intervallo, vincitore nel 2012 della sezione “Orizzonti” della Mostra del Cinema di Venezia. Ambientata a Ponticelli, periferia est di Napoli, la vicenda ruota intorno ad un centro ricreativo, diretto dalla combattiva Giovanna, che ospita bambini disagiati dando loro la possibilità sia di seguire un percorso di studi canonico che di svolgere attività manuali che diano libero sfogo alla loro creatività. Un giorno, la polizia irrompe nella piccola casa dove Giovanna, ignara, ospita Maria, una giovane madre con due bambini (uno dei quali è Rita, coetanea dei piccoli ospiti del centro), e arresta il marito della donna, ricercato per un omicidio camorristico. La situazione non permette che Maria lasci l’abitazione: nasce così una difficile convivenza tra la giovane e gli ospiti del centro, che vorrebbero impedire contatti tra i loro figli e l’ingombrante ospite. L’intrusa è la storia di un dilemma morale: quello di Giovanna, divisa tra la necessità di mostrarsi solidale anche con Maria aiutandone la bambina, e la paura di mettere in pericolo gli altri ospiti e di mandare a monte il progetto sociale faticosamente costruito. La grandezza e la forza del film di Di Costanzo stanno nella capacità di trasferire il conflitto interiore dalla protagonista agli spettatori, nell’interrogare il nostro sguardo e la nostra coscienza di osservatori esterni, nel mantenere con straordinario equilibrio la giusta distanza etica ed estetica dai fatti raccontati presentando con precisione i vari punti di vista, così da restituire tutta la complessità di una così incresciosa situazione.

Anche il bilanciamento tra la dimensione quasi documentaristica dell’universo descritto e le necessità della narrazione evita abilmente sia le trappole della retorica che quelle di una divisione manichea tra buoni e cattivi, tra vittime e carnefici. L’intrusa è un film di sguardi, spesso malinconici o affranti, di movimenti, di piccoli gesti di affetto e di complicità, un racconto dominato da personaggi femminili potenti e perfettamente delineati, che si nutrono di fertile ambiguità: Maria, moglie di un camorrista, sa mostrare dignità rifiutando l’aiuto dei parenti del marito, la macchina da presa la sorprende in lacrime mentre tenta di convincere la figlia a frequentare la scuola. Allo stesso modo, le altre madri preferiscono l’ostilità all’empatia, la salvaguardia dei loro figli anche se questo significherà sacrificare la piccola Rita, condannarla all’esclusione e alla marginalità sociale.

Con lo sguardo sensibile e raffinato del documentarista navigato, Di Costanzo osserva la realtà in maniera diretta ed imparziale, lasciando libero lo spettatore di ragionare sui fatti e di riempire da solo i vuoti. In questo modo, il film riesce a trovare la poesia senza cercarla, a suscitare l’emozione senza indurla, a commuovere lo spettatore senza ricattarlo. Giovanna, Maria, la piccola Rita, le mamme della periferia napoletana abbandonata dallo Stato: impossibile dire chi sia “l’intrusa” del titolo perché in fondo, ed in maniera diversa, tutte lo sono: le mamme che “osano” pretendere che lo Stato si occupi di loro, Giovanna che ad esso si sostituisce, Maria e sua figlia Rita ovviamente, nel loro essere malviste e respinte dalle rispettive comunità di adulti e bambini in una sempiterna guerra tra poveri, la giovane vedova dell’operaio ucciso dal marito di Maria e cui forse il film – unica pecca – avrebbe potuto e dovuto dare maggiore spazio. Tutte loro sono come quei bruchi, che i giardinieri del centro raccolgono nell’orto: potenzialmente splendide farfalle, ammesso di riuscire ad evolversi dallo stato larvale, cui la mancanza di orizzonti rischia di condannarle, vittime dell’oblio e dell’inconcludenza. L’intrusa verrà distribuito nelle sale in autunno: non perdetelo, se potete. Vale.

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