Magie di carta, vita immaginaria di Aleister Crowley

“Sai, Parigi è piena di gente bizzarra. È la dimora perfetta di tutte le specie di eccentricità, suona incredibile in questo anno di grazia, ma il mio amico Oliver Haddo sostiene di essere un mago. Penso che parli con molta serietà.”
“Imbecille!”
fece Arthur enfaticamente.

Maghi e letterati, pur non partendo da assunti dottrinari comuni, attribuiscono forza alla parola che diventa strumento di potere per gli uni e medium evocativo per gli altri. L’analogia è palese. L’incantesimo è espressione di una volontà che interferisce nel mondo reale recitando un rituale o una formula, mentre l’alchimia narrativa dà corpo a esistenze d’inchiostro non lontane dagli homunculus di Paracelso. In alcuni casi le due figure di cerimonieri sovrappongono le proprie identità fondendosi in una sola come Joris-Karl Huysmans, che nel romanzo Là-bas mescola fiction ed esperienza personale nell’ambito dell’occultismo.

Altrettanto avviene con Dennis Wheatley, scrittore inglese del mistero, che al tempo stesso è stato un grande esperto del sovrannaturale diventando membro del Ghost Club di Londra. Gotico e magia si allontanano dalla realtà in modi diversi, allo scopo di ampliarne i confini o scoprirne le pieghe nascoste. Un flusso di motivi e simbologie si scambia tra i due mondi nella stagione dell’occultismo dell’800/’900, legandoli con la fitta presenza di scrittori e poeti all’interno delle grandi società esoteriche. In una sola circostanza, una di queste presenze riunisce in sé l’iniziato, il letterato e il personaggio narrativo diventando un archetipo ammantato di leggenda. E’ Edward Alexander Crowley, rampollo patrizio di Leamington dai molti appellativi, come Frater Perdurabo, o Maestro Therion o, più pittorescamente, la Grande Bestia 666. Più noto al mondo come Aleister Crowley.

La figura di Crowley è molto complessa ed è arduo riassumerla senza penalizzarne i controversi rivoli culturali e umani, oggetto di un dibattito ancora aperto. Occultista, interprete moderno del pensiero ermetico, ateo convinto ma assertore dell’esistenza di realtà ultraterrene, coraggioso alpinista, tossicodipendente, questo personaggio ha attraversato il ‘900 con tutti gli eccessi e gli scandali di una vita vissuta contro ogni morale corrente. Dall’esperienza all’interno della società Golden Dawn diretta dall’autoritario MacGregor Mathers, ai successivi ordini Argenteum Astrum (A∴A∴) e Ordo Templi Orientis (O.T.O.) l’attività di Crowley ha investito l’ambito della magia cerimoniale di cui è stato un grande studioso e divulgatore, impegnandosi inoltre in una cospicua produzione letteraria spesa tra saggistica, narrativa e poesia. In questa veste, il confine tra lo studioso e il narratore perde di consistenza, alimentando l’uno con l’altro in affabulazioni impregnate della stessa matrice filosofica.

Il carisma del personaggio Crowley sopravvive oltre la vita stessa del Mago, ispirando nel tempo opere letterarie che lo hanno visto spesso protagonista. Un esempio significativo di questo processo di simbolizzazione da uomo a personaggio è Il Mago di W. Somerset Maugham. Scritto nel 1907 e portato al cinema da Rex Ingram  nel ‘26, questo romanzo gotico racconta il disperato scontro tra bene e male ingaggiato dal giovane chirurgo Arthur Burdon e il suo mentore dottor Porhoët per la salvezza della bella fidanzata Margaret, oggetto delle mire corrotte di un occultista.

L’avversario dedito ad arti magiche in odore di satanismo è Oliver Haddo, un elefantiaco figuro dai modi affettati e dai sinistri poteri ipnotici, che sfrutta la passione per l’occulto e la disinteressata amicizia del dottor Porhoët per concupire la giovane, seducendola e portandola alla distruzione. Lo scopo del ripugnante Haddo è acquisire potere tramite la creazione in vitro di minuscoli ominidi, un processo alchemico che richiede il sacrificio di un essere umano puro di cuore. Gli sforzi dei due medici animeranno drammaticamente lo sviluppo della storia, con una passione giudicata, in seguito, troppo ridondante dal suo autore, ma in realtà in grado di suggestionare con una prosa elegante, abilissima nel chiaroscurare una tragedia dai risvolti fantastici.

È singolare osservare quanto l’affascinante ritratto di Haddo (sia pure in negativo), descritto con la sua mole smisurata, lo sguardo che attraversa l’interlocutore e l’aura di mistero che lo permea, sia in pieno contrasto con l’idea che Maugham riporta del suo vero modello d’ispirazione, ossia Aleister Crowley, conosciuto nel corso di un lungo soggiorno parigino. Nelle memorie dello scrittore inglese, non prive di scetticismo snob e una compiaciuta malizia, il Gran Mago è ricordato come un vanaglorioso istrione, in perenne bilico tra grandezze e miseria, in grado più di impietosire che affascinare con la sua pretenziosità. Ben diverso, quindi, dalla forza inarrestabile che incarna nel romanzo. Il successo del libro, comunque, non venne gradito dall’esoterista, che accusò Maugham di plagio sulle pagine di Vanity Fair, firmandosi provocatoriamente Oliver Haddo.

Per una strana simmetria, Aleister Crowley nel suo romanzo Moonchild avrebbe trasfigurato l’antico maestro Mac Gregor Mathers nel malvagio negromante SRMD. Gli strali di un incantesimo possono non colpire, a volte, ma la penna intinta nel veleno risulta sempre la più efficace delle magie.

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