Il “Memoriale occidentale” di Franco Cipriano per Aleppo. Opera che è parte di un’opera non ancora compiuta

In fase

Il tempo adagerà l’ennesimo sudario sopra quel che rimarrà. E dove sarà finito tutto il resto?

Non scriverò su Aleppo, né sulla Siria, né sulla tragedia, né su nient’altro abbia in qualche modo a che fare con quello che non so. Non so cosa stia accadendo laggiù e non so cosa sia accaduto. O, e questo credo che valga per molti, non posso saperlo con precisione. Persino il vago mi è interdetto. So soltanto che qualcosa ha invocato e invoca ancora soccorso, più di quanto la scienza riesca a recepire attraverso le nostre possibilità di accedere ad altri luoghi, talvolta lontani, che, di fatto, restano irraggiungibili. Non so con quanta approssimazione sia misurabile la mia, la nostra, la vostra, la loro lontananza. Non so, allo stesso tempo, con quanta misura sia approssimabile la mia, la nostra, la vostra, la loro vicinanza.

Un intimo di sprovveduto imbarazzo mi confina alla massima possibilità, quella di affacciarmi a una quieta e ariosa finestra, sopra un orizzonte celeste e rassicurante, a fissare un punto qualsiasi che inchiodi la mia immaginazione all’idea fragilissima e dissacrante su quanto stia accadendo nei luoghi da cui poche informazioni agiscono da schiarite improvvise ed effimere, sopra il mistero nero che le tiene lontane dai miei, di luoghi. Ogni tanto, giungono notizie. E il nostro tempo corre all’indietro, fino alle corse dei messaggeri dell’antichità.

Memoriale occidentale, di Franco Cipriano

Allora, sia ben chiaro, non posso che scrivere intorno a questa figura che mi è capitata davanti, a monito emblematico di quanto io stesso debba riconoscere nel limite che il mio stesso privilegio m’impone. Un’opera, quella di Franco Cipriano, che col suo titolo, Memoriale occidentale, precede l’ingloriosa destinazione che le civiltà hanno scelto quando tutto era ancora indeciso nell’acerba giovinezza della storia. E a guardarsi indietro nemmeno l’occhio dell’aquila saprebbe vedere con nitidezza. In realtà, dell’immagine mostrata l’autore stesso mi ha chiarito il suo stadio momentaneo, che, non si sa ancora bene quando, potrebbe mutare in qualcos’altro. Un’istantanea, dunque. Un momento, forse, che ha comunque indotto il suo artefice a registrarlo come tale, per un omaggio a distanza a quello che, secondo tale distanza, potrebbe percepirsi come una distruzione-smantellamento della storia. Ammesso che la storia serva a qualcosa.

In una delle stanze-laboratorio di Franco si trovano dei libri riesumati e trasfigurati, come stampe calcificate di sudari appartenuti a martiri ignoti. Tra queste, nel non ancora – nella mia immaginazione dubito che lo sarà – definito simultaneo poetico dell’opera compiuta, l’immagine, tratta dall’oggetto destinato a diventare parte di un impianto che reca la sua dedica ad Aleppo (nella grafica dell’omaggio, parola sparsa in lettere come i termini degli intermezzi del capitolo Industria carceraria nell’Arcipelago Gulag di Solženicyn), attraverso il suo titolo “Memoriale occidentale”. Che al centro di una delle sua pagine vi siano cicatrizzati degli squarci, delle ferite, dei tagli, delle incrostazioni, o qualunque altra escrescenza che turbi la superficie del foglio, è il segno, tra i segni, che in quella immagine, da quella materia, ancora resta in vita la voce umana delle cose, finanche all’estrema richiesta di sepoltura.

Intanto, il libro di Cipriano resta aperto. L’arido parla per le parole rinsecchite che sono state spazzate via dal tempo, o forse s’è truccato di originario, di primario, per prestarsi a nuove scritture e a nuove letture. Eppure, una fiumana silenziosa l’attraversa in lungo e in largo. A quanti uomini è appartenuto quel libro? Di quanti uomini ha parlato quel libro? Del suo “Occidente” cosa conserva? Cosa registra? Cosa ricorda? Un uomo d’ordine, un uomo ribelle, o le leggi che lo mettono l’uno contro l’altro?

Un libro, “realmente esistito”, l’Arcipelago Gulag che prima è stato citato, dice che “Nonostante i colpi di maglio della tempesta, la nave della Legge naviga maestosa e lenta” e che, “se domani si ordinasse di mettere dentro milioni di persone per reati di opinione o di deportare popoli interi, la Legge quasi non fremerebbe”. Quale pagina, di quale libro, libera da ogni legge, è stata scritta a durare nel tempo più di ogni altro ordine alla distruzione? Il silenzio e tutte le parole del mondo sono ancora in conflitto. Il Memoriale di Franco Cipriano cerca rifugio.

Immagine dell’articolo da Memoriale occidentale, di Franco Cipriano

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